Perché il decreto del governo Meloni sui rave party è di una gravità assoluta

Su di una cosa siamo tutti d’accordo:  i rave party sono un fenomeno sociale che può sfociare in situazioni di grave pericolo per l’incolumità dei partecipanti e arrecare enormi problemi di ordine pubblico nelle zone in cui si realizzano.  Tutti i governi europei di qualsiasi colore hanno una legislazione che prevede delle limitazioni ai fini di tutelare la sicurezza di tutti. Anche l’Italia è da sempre stata dotata di un  corpus legislativo più che sufficiente per intervenire nelle situazioni giudicate pericolose o lesive della legalità.

L’opportunità e l’intensità dell’intervento  della forza pubblica in queste manifestazioni è sempre stata a discrezione del prefetto competente per quel territorio e in concerto con le amministrazioni locali,  essendo disponibili tutte le normative necessarie per agire fino al totale sgombero dell’area.

 Non vi era quindi alcuna necessità di intervenire dal punto di vista legislativo aggiungendo una ulteriore norma penale e tantomeno facendolo attraverso la decretazione d’urgenza, uno strumento che tutti i giuristi ritengono totalmente inadeguato per intervenire sul codice penale, essendo per sua natura immediatamente applicabile e non elaborato da nessuna assemblea parlamentare.

Entrando nel merito della norma, emerge immediatamente quello che è ritenuto il più grave dei limiti nella scrittura della stessa e cioè l’indeterminatezza della fattispecie di reato. Riferendosi genericamente all’occupazione di luoghi pubblici o privati ( comprendendo quindi piazze, scuole, edifici pubblic,i fabbriche, strade, prati eccetera) effettuata in un modo tale da costituire pericolo per la pubblica incolumità o per l’ordine pubblico,  questa valutazione di pericolo viene lasciata al funzionario di turno senza specificare minimamente quali siano i requisiti di  pericolosità, da ciò risulta che qualora un gruppo di lavoratori manifestasse pacificamente di fronte alla propria fabbrica o un gruppo di studenti occupasse l’aula magna della propria scuola o un gruppo di ambientalisti si riunisse a difendere un bosco, o qualsiasi altra assemblea pacifica si tenesse con più di 50 personei partecipanti potrebbe incorrere, secondo la discrezionalità di un prefetto, in una fattispecie di reato che prevede l’arresto fino a 6 anni, la confisca dei beni e l’applicazione della normativa antimafia che consente le intercettazioni telefoniche dei partecipanti.

La sproporzione tra le azionii e la pena appare talmente enorme che delle due l’una: o chi ha scritto la norma é talmente incompetente da sfiorare l’incapacità di intendere e di volere, o questo gesto ha un chiaro intento intimidatorio nei confronti di tutti i cittadini che ritengono legittimo  potersi riunire pacificamente per esercitare il diritto di protesta siano essi individui privati associazioni o sindacati.

 Da più parti è stato detto che questo è un atto identitario utile per ribadire agli elettori di destra che il nuovo governo sara basato sul concetto di legge e ordine ma la sproporzione tra reato e pena rende il messaggio molto più inquietante.

Per concludere, a tutti coloro che fanno spallucce o che approvano questa norma perché riguarderebbe un gruppo sociale  del quale non condividono lo stile di vita,  cioè i “giovani anarcoidi sballati e fricchettoni”, vorrei ricordare una celeberrima ma sempre illuminante poesia del pastore Martin Niemöller:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare“.