Liguria. I Verdi Finalesi si complimentano con i sindaci e gli operatori turistici del “Parco Naturale Regionale delle Alpi Liguri” per aver conseguito, primi in Liguria, la “CETS” (Carta Europea del Turismo Sostenibile).
Un territorio di circa 6.000 ettari compreso in otto comuni: Cosio d’Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte, Pigna, Rezzo, Rocchetta Nervina, Molini di Triora e Triora, all’estremo ponente ligure, tra il confine francese, il Mar Tirreno e il Piemonte.
“Il parco venne istituito nel 2007 “grazie alla lungimiranza degli amministratori locali di allora. Un territorio fortunato del nostro Ponente che ha trovato una intelligente convergenza di interessi tra la componente politica e gli operatori economici innamorati delle originali bellezze naturalistiche” afferma Gabriello Castellazzi, dei Verdi.
“Infatti questo riconoscimento europeo premia la collaborazione tra tutti i portatori di interesse verso quella tutela del patrimonio naturale-culturale che è capace di promuovere la qualità della vita della popolazione residente. In questo modo il parco diventa laboratorio di buone pratiche legate alla sostenibilità dei luoghi nei quali sperimentare progetti innovativi che costituiscano un modello al di fuori del territorio tutelato” proteggendo il paesaggio e la preziosa biodiversità”.
“Italia Nostra – Sezione di Savona, già nel lontano 1970, per l’esigenza di migliorare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda propose, attraverso la pubblicazione di uno studio completo sotto il profilo scientifico (caratteristiche geografiche ed economiche, flora, fauna, geologia) e storico (preistoria, età romana e medievale), la creazione del “Parco Naturale del Finalese” (che sarebbe stato il primo in Liguria), in quanto area particolarmente meritevole di conservazione e valorizzazione”.
“Un progetto affossato per l’assurdo parere negativo di alcuni sindaci locali, quando la Giunta ligure, grazie all’assessore Franco Zunino, era invece assolutamente favorevole alla sua istituzione. Purtroppo l’attuale amministrazione regionale ha fatto addirittura cancellare la relativa norma istitutiva”.
“L’impegno costante è quello di consentire lo sviluppo di attività eco-compatibili del tempo libero all’aria aperta, aiutare le attività umane tradizionali del lavoro legato al bosco, all’allevamento in spazi aperti e alle produzioni agricole di qualità” conclude Castellazzi, non senza polemiche rispetto alla mancata realizzazione del Parco del Finalese.
Il Parco è attraversato per circa 45 km dal sentiero dell’Alta Via dei Monti Liguri (che lo unisce al Finalese) ed è collegato alla Via Alpina per altri 35 chilometri). L’offerta turistica indica gli itinerari di mountain bike, trekking a cavallo, arrampicata sportiva, parapendio, canyoning lungo i torrenti Barbaira e Argentina, oltre a percorsi tematici legati alle bellezze naturalistiche dell’area.
Il 26 ottobre 2021 la maggioranza del “Consiglio Regionale” ligure ha respinto la proposta di superare gradualmente, come aveva già deciso di fare l’Emilia Romagna, il sistema dell’allevamento intensivo per gli animali in gabbia, costretti in spazi dove hanno a malapena la possibilità di muoversi.
Nel febbraio di quest’anno il Parlamento italiano ha approvato una modifica all’Art.9 della nostra Costituzione ( riguarda la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi) in cui la frase finale recita: “La Legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”, con la conseguente assunzione di un impegno a tutelare la salute e promuovere il benessere degli animali. Altri Stati europei hanno varato norme precise per i controlli negli allevamenti e regole per migliorare le condizioni degli animali durante i trasporti. In tutta Europa si registra oggi la presenza di circa 300 milioni di capi di bestiame allevati in gabbia (45 milioni solo in Italia, gran parte in Lombardia): un sistema assurdo e nefasto che viene attuato per ottenere il massimo rendimento con il minimo costo. Un vantaggio economico tutto da verificare, se si considerano i danni alla salute riscontrati in tutto il contesto sociale (sofferenze individuali e problemi per tutto il sistema sanitario).
Centoquaranta scienziati di tutto il mondo hanno riconosciuto come gli allevamenti intensivi costringano gli animali a vivere in spazi ristretti, con tali danni per la loro salute da rendere necessario l’impiego massiccio di antibiotici. Il rischio dell’uso massiccio di antibiotici per gli animali è noto da anni perché i residui che rimangono nelle carni destinate al consumo favoriscono la selezione e la diffusione di batteri letali, potenzialmente trasmissibili alla specie umana.
Il “Commissaro Europeo all’Agricoltura” ha recentemente dichiarato che i sussidi del Recovery Fund “possono anche essere utilizzati per eliminare gradualmente gli allevamenti in gabbia e implementare metodi alternativi”. Per questo la Regione Emilia Romagna, affrontando un problema che la riguarda per il gran numero di allevamenti intensivi presenti sul suo territorio, si è attivata con l’obiettivo di una corretta gestione degli allevamenti all’aperto, ambientalmente sostenibili e in grado di valorizzare le produzioni a tutela della qualità e della sicurezza alimentare. In questa direzione cosa farà la Regione Liguria dopo aver bocciato la proposta di superare anche da noi gli allevamenti intensivi? Sono da segnalare alcuni esempi virtuosi di allevamenti in spazi aperti, già presenti nel “Parco delle Alpi Liguri”.
Sottovalutare questo problema sarebbe molto pericoloso anche per un’altra serie di motivi che riguardano la tutela degli equilibri ambientali: Una ricerca ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) mette in evidenza come in Italia l’allevamento intensivo sia responsabile dell’immissione nell’ambiente del 75% dell’ammoniaca inquinante e come le deiezioni animali, contenenti azoto, fosforo, potassio, ormoni e antibiotici, contaminino le acque superficiali e di falda. La FAO (Food and Agriculture Organization) afferma che “il settore dell’allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggior fattore di uso antropico delle terre” mentre il 30% della superfice non ricoperta dai ghiacci è utilizzata per coltivare vegetali destinati esclusivamente al mangime per gli animali da macello. In sostanza più cresce la domanda di carne, maggiore sarà la percentuale di terreno agricolo utilizzato per produrre foraggio e cereali destinati a nutrire unicamente il bestiame. In conseguenza di questo fatto la quantità di cereali a disposizione per l’alimentazione umana sarà inferiore, con prezzi alti, a scapito dei Paesi più poveri. Per ottenere un chilo di carne sono necessari 16 kg di proteine vegetali, risulta quindi evidente come una alimentazione globale più vegetariana consentirebbe di sfamare un numero di persone decisamente superiore. Si può aggiungere che la “dieta mediterranea” (dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità) privilegia il consumo di proteine vegetali (legumi-cereali-ecc.) a scapito degli alimenti che contengono grassi saturi e colesterolo.
In conclusione, per i Liguri è legittima l’aspettativa (come indicato nel nuovo articolo della Costituzione) di nuovi regolamenti a tutela degli animali da allevamento.
Un secondo incontro per parlare d’aborto con associazioni, attiviste, medici e accademiche, venerdì 2 dicembre a Casa Gavoglio, in via del Lagaccio 41. Dopo il primo appuntamento a inizio novembre, frequentato da più di 130 persone, si conclude così “Ora parliamo di aborto” momento di ascolto e confronto su un diritto sempre messo in discussione, ancora più in questo periodo storico in cui la destra è al Governo. Dalle 17.30 alle 18.30 a Casa Gavoglio saranno organizzati tre tavoli di lavoro. A seguire fino alle 19.30 ci sarà una discussione finale rispetto alle proposte e ai problemi emersi nei tavoli. Nel primo, moderato da Tiziana Bottazzi di Rete di donne per la politica, si discuterà di “Consultori e welfare”. Nel secondo, si discuterà di “Come parlare di aborto e diritto all’autodeterminazione” con la Professoressa Nora Gattiglia dell’Università di Genova. Nel terzo tavolo spazio a “Prevenzione e consapevolezza tra i più giovani”, sotto la guida della psicologa, psicoterapeuta e sessuologa Chiara Nardini di Edusex. Obiettivo dell’incontro è di risolvere eventuali contraddizioni emerse e ideare risposte concrete da portare avanti. Le ideatrici di questo momento di confronto sono sempre un gruppo di donne liguri impegnate in politica con la sinistra ambientalista dei “rossoverdi”: Europa Verde con Sansa e Linea Condivisa (Selena Candia, Rossella D’Acqui, Valentina Logli, Simona Simonetti); Possibile (Claudia Moreni); Sinistra Italiana (Simona Cosso). All’incontro “Ora parliamo di aborto. Al lavoro insieme, con proposte e idee per un diritto sotto attacco” parteciperanno un gruppo di persone che da anni, se non da decenni, si occupano del tema. UDI- Unione donne in Italia; AIED; Rete di Donne per la politica; Liguria Pride; Edusex. L’evento è supportato dalla rivista online Wall:Out, dalla Cellula Coscioni Genova e dalla Comunità di San Benedetto al Porto.
Bambine e bambini sono i benvenuti, ci sarà uno spazio dedicato con un’educatrice di Legambiente Polis.
La Federazione dei Verdi è nata il 16 novembre del 1986, raggruppò in un unico soggetto tutte le liste Verdi presenti sul territorio.
“Eravamo assenti dal Parlamento dal 2008, mentre alle ultime elezioni politiche, come Europa Verde – Verdi, forti dell’alleanza con Sinistra Italiana, abbiamo eletto 12 Onorevoli e quattro Senatori, presentando un programma comune”, spiega Angelo Spanò co-portavoce metropolitano di Europa Verde – Verdi.
“Il nostro paese ha bisogno di partiti che hanno nel loro dna l’ambiente e la salute, portando avanti il pensiero di Alex Langer, mentre altri partiti sostengono progetti che rischiano di contribuire alla distruzione del nostro già martoriato territorio, come ad esempio, inceneritori e progetti faraonici che non fanno altro che contribuire ad aumentare i profitti dei soliti noti, per restare nel locale, la gronda di ponente e lo skymetro della Val Bisagno e supermercati vari”.
“Trentasei anni di battaglie ecologiste costellate di successi, come la vittoria al referendum contro il nucleare nel 1987, mentre oggi il Governo, che è in ottima compagnia, propone di impiantare centrali nucleari, dimenticandosi di come accantonare le scorie. Forse si preferisce dare il via alle trivellazioni petrolifere in cambio delle rinnovabili? Ci rivolgiamo a tutti i liguri, chiedendo il loro sostegno per portare avanti le nostre iniziative”, conclude Spanò.
I primi atti del procedimento che fa seguito alla querela per diffamazione che Giorgia Meloni, non ancora presidente del Consiglio, aveva sporto nei confronti di Roberto Saviano per aver definito” bastardi” gli esponenti il centro-destra davanti all’annegamento del piccolo Youssuf nel corso della migrazione dalle coste dell’Africa, hanno suscitato un grande dibattito riguardante molti aspetti della vicenda tra i quali la libertà di stampa o l’opportunità politica di tale atto.
Ma c’è un altro elemento, per così dire” linguistico”, che merita una qualche riflessione: l’ingiuria utilizzata da Saviano, nel vocabolario Treccani è un termine utilizzato talvolta in modo dispregiativo per indicare un figlio illegittimo. Si sente l’eco di una cultura nella quale i nati al di fuori del matrimonio tra nobili ( maschi) e plebei ( femmine), quasi sempre frutto di relazioni totalmente asimmetriche per censo, ricchezza e potere se non di veri e propri stupri, erano bambini marchiati e ostracizzati perché da nascondere. Nel gran numero di termini dispregiativi ed offensivi di cui è ricca la lingua italiana, questo riferimento alle origini della persona come elemento negativo è abbastanza comune, pensiamo al classico” figlio di puttana” in tutte le sue varianti anche dialettali.
Però mi ha stupito sentirlo in bocca a Saviano, noto per la sua sensibilità nei confronti degli ultimi e per la sua grande attenzione a questi temi e ancor più quando ha affermato che non è stato frutto di un impulso dettato dalla rabbia ma di averlo scelto con cura per generare una reazione forte.
Mi sono quindi chiesto quale termine avrei scelto io al suo posto e ammetto di non aver trovato una parola allo stesso tempo fortemente dispregiativa ma sufficientemente descrittiva.
Come appellare un individuo che per un tornaconto personale è disposto freddamente, scientemente e ripetutamente a generare enormi sofferenze gratuite ai suoi simili ed a metterne a repentaglio la vita?
Che aggettivo usare per chi, per guadagnare più soldi, non fa la manutenzione a un ponte che sta per crollare, per chi risparmia sulle riparazioni di una funivia e la fa viaggiare con i freni di emergenza bloccati, per chi, per avere consenso elettorale e quindi potere, ostacola in tutti i modi i soccorsi a bambini donne e uomini che rischiano e perdono la vita a migliaia in mezzo al Mediterraneo per sfuggire agli orrori della guerra, alla fame, alla dittatura, alla povertà?
Come definire chi, pur vivendo nella sicurezza e negli agi della opulenta società occidentale, pur avendo famiglia e figli, alla sera, magari appena coricato in un letto caldo e accogliente, nell’ora che per molti è occasione di un interiore rendiconto della giornata riesce a dimenticare tutte quelle persone che, per causa sua e dei suoi sodali, sono in mezzo al mediterraneo su un canotto semi affondato o schiavizzate e violentate in una prigione libica oppure ancora su di una banchina di cemento di un porto italiano avvolte in una coperta, sole, al freddo e circondate di poliziotti. E se al posto di quei “minori non accompagnati” ci fosse suo figlio o sua figlia non vorrebbe che uno stato straniero lo salvasse dalle onde lo portasse all’ asciutto e al sicuro, gli desse un pasto caldo e un letto mentre decide della gestione amministrativa del suo futuro?
Ammetto la mia ignoranza ma io non ho trovato il termine giusto e un pò mi consola il pensiero che probabilmente non c’è riuscito nemmeno uno scrittore come Roberto Saviano.
Il 27 ottobre scorso il “Consiglio di Stato” ha depositato una importante sentenza (n.9178) in favore della salvaguardia degli alberi che troppo spesso, sbrigativamente, vengono indicati quale “pericolo” per l’incolumità pubblica e abbattuti senza reali motivazioni.
Infatti, non si può decidere il destino di un albero senza “acquisire una valutazione della reale stabilità dell’albero, alla luce dei protocolli riconosciuti a livello nazionale e internazionale”. In sostanza, si dovrebbe procedere al sacrificio dell’albero “solo a fronte di una puntuale rappresentazione di una grave pericolosità che minacci l’incolumità dei cittadini”.
Il Comune oggetto della sentenza è stato condannato perché le “valutazioni di carattere tecnico non risultano supportate da adeguati riscontri di carattere strumentale atti a verificare la tenuta dell’albero alla trazione”.
In Liguria, negli anni e nei mesi scorsi, a partire da Genova e Savona (oggi a Laigueglia) si sono moltiplicate le sacrosante proteste dei cittadini per l’abbattimento di alberi con motivazioni discutibili sotto il profilo delle normative esistenti.
La “perizia” degli Agronomi è obbligatoria e la certificazione di un rischio “moderato”non consente l’abbattimento della pianta, ma un controllo dopo due anni con l’applicazione del sistema di “trazione statica” che valuta la prograssiva capacità di tenuta delle radici (sono state invece abbattute piante decennali classificate a rischio “moderato”).
Non si tagliano gli alberi senza motivi concreti e i progetti urbanistici che non tengano conto del valore delle piante, oggi non hanno più senso. La sostituzione di grandi alberi con nuove giovani piante non è un risarcimento per i danni ambientali perchè gli alberi grandi crescono più rapidamente di quelli piccoli e in sono grado di assorbire più CO2. In sostanza, non è vero che il progressivo sviluppo degli alberi rallenti con il passare degli anni: maggiori sono le dimensioni, più alto sarà il tasso di crescita. Tra i 20 e i 40 la pianta assorbe in media 30 Kg. di CO2 ogni anno. Tutti questi dati provengono da “Nature”(nota rivista scientifica internazionale).
La situazione del nostro Ponente non è particolarmente felice. Sono motivate le proteste di tanti cittadini e la gestione del “verde pubblico” deve essere assolutamente aggiornata. E’ sufficiente consultare gli ultimi dati “ISTAT” e raffrontare le realtà dei nostri capoluoghi di provincia in relazione ai mq. di “verde urbano” disponibile per ogni abitante sul suolo comunale. L’analisi complessiva dei 109 capoluoghi di provincia italiani porta a questi risultati sorprendenti: Savona dispone di 6,7 mq. di verde urbano per abitante, Genova 6,4 mq., Imperia 7,9 mq. (Il “Ministero dell’Ambiente”, nelle sue linee guida, considera 9 mq. di “verde”come necessari a garantire una buona qualità della vita). Milano dispone di 18 mq. per abitante, Roma 16 mq.- Napoli 13 mq.- Firenze 22 mq. , la Liguria in sostanza è agli ultimi posti.
“Legambiente” dichiara critica la situazione del nostro capoluogo: Savona si trova al 95° posto (su 109) per la cura del suo patrimonio di alberi. Quindi sono ragionevoli le richieste per una maggiore attenzione verso un problema che entra a pieno titolo nel processo di “transizione ecologica”.
Ripetiamo ancora una volta come ogni singolo albero contribuisca all’assorbimento di anidride carbonica dell’atmosfera, produca ossigeno vitale per tutti noi, migliori il comfort ambientale, riduca gli inquinanti dispersi nell’aria, protegga il suolo e sostenga la biodiversità garantendo protezione per molti animali. L’albero grande garantisce maggiori benefici: l’ombra fa spendere meno energia per il raffreddamento delle case nel periodo estivo e risparmiare sul riscaldamento (grazie all’effetto frangivento) nei periodi freddi.
La sensibilità per la salvaguardia del patrimonio verde aumentata di giorno in giorno e le proteste si levano anche quando alberi dotati di folta chioma vengono potati in modo esagerato, quasi capitozzati. Inoltre si continuano a tagliare le fogli verdi della “Palma canariensis”( per un risparmio immotivato in quanto queste piante saranno più a rischio di ammalarsi e morire).
Il D.M. 4/4/2020, il Ministero dell’Ambiente definisce i “criteri ambientali minimi” per la gestione corretta del “verde pubblico” e tra le altre informazioni indica come “evitare la capitozzatura, la cimatura e la potatura drastica degli alberi”. Infatti la potatura sbagliata provoca stress alle piante, carie interne (con attacchi dei parassiti), crescita di rami deboli in prossimità del taglio, morte delle radici corrispondenti e conseguente instabilità.
Anche il “Consiglio di Stato”, con la sua sentenza, invita tutti a valutare il valore del “ verde urbano” per i suoi effetti benefici sull’ambiente in un delicato momento di “crisi climatica”.
Gabriello Castellazzi Europa Verde – Verdi del Finalese
“Nei giorni scorsi è stata pubblicata la delibera della giunta regionale della Liguria (n° 1054 del 20/10/2022) che indica il riparto delle risorse destinate al finanziamento dei programmi provinciali per lo sviluppo della raccolta differenziata. L’impegno complessivo è di 2.563.984,00 euro (540.555 euro per la provincia di Savona e 505.443,00 euro per quella di Imperia)”.
“Tutti i contributi sono condizionati alla presentazione da parte delle province, entro il 31 maggio prossimo, di programmi operativi per la gestione corretta dei rifiuti, con indicazioni precise circa gli interventi da effettuare progressivamente: su
1. progettazione e realizzazione con interventi di ampliamento e/o adeguamento di centri per il conferimento di rifiuti differenziati a complemento della rete infrastrutturale pianificata;
2. ampliamento delle frazioni da intercettare con la raccolta differenziata, con particolare riferimento alla frazione tessile e ai rifiuti domestici pericolosi;
3. implementazione sistemi di raccolta differenziata a livello comunale o di area omogenea, acquisto di attrezzature specialistiche e software finalizzati esclusivamente all’introduzione di sistemi di tariffazione puntuale;
4. progettazione e realizzazione di centri per il riuso di cui all’art. 181 c. 6 del D. Lgs.152/2006;
5. attività di prevenzione rifiuti coerenti alle linee di azione prioritarie di cui al Programma Regionale di prevenzione compreso nell’aggiornamento 2021-2026 del Piano;
6. iniziative di informazione/sensibilizzazione realizzate in collaborazione con i Consorzi di filiera al fine di diffondere la conoscenza circa la corretta gestione dei rifiuti compresi nelle rispettive filiere di recupero”.
“Queste indicazioni sono corrette e inequivocabili, ma in netto contrasto con la politica del “doppio binario” incomprensibilmente ancora portata avanti dalla Regione che in una “nota” dichiara: ‘Il termovalorizzatore è previsto dal nuovo Piano regionale e traguarda la chiusura del ciclo con un impianto da 200.000 tonnellate e stabilisce le caratteristiche dei potenziali siti in cui realizzarlo, con i parametri per valutarne l’idoneità. L’ipotesi Val Bormida potrebbe essere legata alla vicinanza e una possibile sinergia con il Piemonte’. Il Presidente Toti ha inoltre recentemente dichiarato che ‘l’inceneritore sarà in grado di produrre energia a basso costo per le imprese e consentirà auspicabilmente di aumentare la possibilità per proposte liguri in tema di rifiuti e bonifiche con accesso ai fondi Pnrr'”.
“In realtà non è vero che l’Unione Europea concede finanziamenti per nuovi termovalorizzatori, in quanto l’incenerimento dei rifiuti non è compreso nella tassonomia (regolamento che stabilisce cosa è finanziabile), perchè non segue il percorso di decarbonizzazione nel quale l’Europa è impegnata come obiettivo vincolante fino al 2030. Per questo la Commissione UE ha già respinto una prima bozza di Pnrr inviata dal Governo italiano dove erano previsti l’incenerimento dei rifiuti e la produzione di “idrogeno blu”(prodotto da gas fossile), indicando invece la necessità di realizzare impianti per ottenere idrogeno verde (prodotto dall’elettrolisi dell’acqua grazie al fotovoltaico). La previsione di un inceneritore nel Piano regionale è in antitesi alla raccolta differenziata e procede nella direzione esattamente opposta, perchè senza una quantità enorme di rifiuti indifferenziati da trattare l’impianto non può funzionare”.
“Ripetiamo, ancora una volta, come il mondo scientifico dica in modo chiaro: ‘è necessario e urgente ridurre la produzione della CO2 causa di effetto-serra con relativo aumento delle temperature e gli inceneritori emettono 700 grammi di CO2 ogni Kwh’. Per questo gni tonnellata di CO2 prodotta (oggi gravata di 80 Euro/ton. per disincentivarne la produzione) vedrà una tassazione di circa 140 Euro/ton”.
“I dati recenti dimostrano come in Liguria, nonostante alcuni miglioramenti (aumentano i comuni virtuosi), siano ancora scarsi i risultati complessivi della raccolta differenziata e gli obiettivi indicati da quest’ultimo Decreto della Regione Liguria debbano essere raggiunti in tempi brevi. L’incenerimento dei RSU (Rifiuti Solidi Urbani) è irrazionale, in netto contrasto con la moderna “economia circolare” che punta sull’utilizzo corretto dei beni naturali (vegetali e minerali). Il recupero- riciclo evita il saccheggio del territorio e trasforma i cosiddetti ‘rifiuti’ in risorse nel contesto di uno sviluppo sostenibile globale”.
Su di una cosa siamo tutti d’accordo: i rave party sono un fenomeno sociale che può sfociare in situazioni di grave pericolo per l’incolumità dei partecipanti e arrecare enormi problemi di ordine pubblico nelle zone in cui si realizzano. Tutti i governi europei di qualsiasi colore hanno una legislazione che prevede delle limitazioni ai fini di tutelare la sicurezza di tutti. Anche l’Italia è da sempre stata dotata di un corpus legislativo più che sufficiente per intervenire nelle situazioni giudicate pericolose o lesive della legalità.
L’opportunità e l’intensità dell’intervento della forza pubblica in queste manifestazioni è sempre stata a discrezione del prefetto competente per quel territorio e in concerto con le amministrazioni locali, essendo disponibili tutte le normative necessarie per agire fino al totale sgombero dell’area.
Non vi era quindi alcuna necessità di intervenire dal punto di vista legislativo aggiungendo una ulteriore norma penale e tantomeno facendolo attraverso la decretazione d’urgenza, uno strumento che tutti i giuristi ritengono totalmente inadeguato per intervenire sul codice penale, essendo per sua natura immediatamente applicabile e non elaborato da nessuna assemblea parlamentare.
Entrando nel merito della norma, emerge immediatamente quello che è ritenuto il più grave dei limiti nella scrittura della stessa e cioè l’indeterminatezza della fattispecie di reato. Riferendosi genericamente all’occupazione di luoghi pubblici o privati ( comprendendo quindi piazze, scuole, edifici pubblic,i fabbriche, strade, prati eccetera) effettuata in un modo tale da costituire pericolo per la pubblica incolumità o per l’ordine pubblico, questa valutazione di pericolo viene lasciata al funzionario di turno senza specificare minimamente quali siano i requisiti di pericolosità, da ciò risulta che qualora un gruppo di lavoratori manifestasse pacificamente di fronte alla propria fabbrica o un gruppo di studenti occupasse l’aula magna della propria scuola o un gruppo di ambientalisti si riunisse a difendere un bosco, o qualsiasi altra assemblea pacifica si tenesse con più di 50 personei partecipanti potrebbe incorrere, secondo la discrezionalità di un prefetto, in una fattispecie di reato che prevede l’arresto fino a 6 anni, la confisca dei beni e l’applicazione della normativa antimafia che consente le intercettazioni telefoniche dei partecipanti.
La sproporzione tra le azionii e la pena appare talmente enorme che delle due l’una: o chi ha scritto la norma é talmente incompetente da sfiorare l’incapacità di intendere e di volere, o questo gesto ha un chiaro intento intimidatorio nei confronti di tutti i cittadini che ritengono legittimo potersi riunire pacificamente per esercitare il diritto di protesta siano essi individui privati associazioni o sindacati.
Da più parti è stato detto che questo è un atto identitario utile per ribadire agli elettori di destra che il nuovo governo sara basato sul concetto di legge e ordine ma la sproporzione tra reato e pena rende il messaggio molto più inquietante.
Per concludere, a tutti coloro che fanno spallucce o che approvano questa norma perché riguarderebbe un gruppo sociale del quale non condividono lo stile di vita, cioè i “giovani anarcoidi sballati e fricchettoni”, vorrei ricordare una celeberrima ma sempre illuminante poesia del pastore Martin Niemöller: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare“.
Liguria. Giovedi’ 22 settembre alle h 15.45 presso il CAP di Genova, in Via Albertazzi n. 3, si terrà un dibattito su uno dei temi fondamentali della nostra società civile, dal titolo “Libertà e coercizione. Quali limiti e quali controlli per uno stato di diritto?”. L’incontro sarà introdotto e moderato da Maria Gabriella Branca, Responsabile nazionale Giustizia e Legalità Sinistra Italiana.
Sarà presente in collegamento da Roma la candidata al Senato per l’Alleanza Verdi Sinistra, Ilaria Cucchi e si svolgerà con gli interventi di Doriano Saracino, Ricercatore Centre Max Weber di Lione, esperto di carceri, Emilio Robotti, Avvocato specializzato nella materia del Diritto Internazionale e dei Diritti Umani, Stefano Petrella per l’Associazione “Nessuno tocchi Caino” con la presenza delle candidate e i candidati della lista Alleanza Verdi Sinistra.
“Il concetto di libertà della persona -dichiara Gabriella Branca- deve valere anche per la persona detenuta e per la persona che viene temporaneamente affidata alle istituzioni, per un fermo o una perquisizione: la persona deve essere posta nelle condizioni di esercitare tutti i diritti, nei limiti di compatibilità con le esigenze di ordine e sicurezza strettamente intesa.”
“L’ultimo episodio su cui sta indagando la Procura di Roma, relativamente al disabile “caduto” dalla finestra nel corso di una perquisizione mai autorizzata (gli agenti non avevano mandato, Hasib Omerovic non aveva pendenze né carichi penali, non era stato denunciato né era nei guai con la legge) ci pone di ancora una volta di fronte alla domanda essenziale che abbiamo indicato come titolo al nostro dibattito. Quale deve essere il concreto e delicato bilanciamento tra la libertà della persona e la sua limitazione? E ciò in relazione ai tre luoghi in cui si esercita il potere coercitivo dello Stato: il carcere, le strutture di cura delle malattie mentali e i centri di permanenza per il rimpatrio dei migranti”, ha proseguito.
Troppo spesso tendiamo a dimenticare che in Italia, in questo momento sono ristrette in carcere quasi 55.000,00 con un sovraffollamento che risulta tra i più alti d’Europa e, come noto, l’Italia continua ad essere ripetutamente condannata per il trattamento disumano che subiscono le persone ristrette in carcere.
“Come sottolineato nel recente rapporto dell’Associazione Antigone “La Calda estate delle carceri” – osserva Simona Cosso, candidata come capolista al Senato per l’Alleanza Verdi Sinistra – nel corso di questi ultimi mesi, la situazione all’interno delle 197 carceri italiane è stata terribile: un caldo insopportabile che aggravava il tema del sovraffollamento e la mancanza di spazio vitale, acqua razionata, pochi ventilatori a batteria, nessun frigorifero in cella; abbiamo dovuto anche verificare un tragico aumento del tasso di suicidi, che ha colpito persino persone giovanissime.”
Proprio oggi un articolo di Alberto Leiss su Il Manifesto rende noto un appello lanciato dai detenuti di Rebibbia in cui si afferma: “Chiediamo a chi ancora crede che sia scandaloso avere celle con sei persone, a chi ancora crede che una condanna giudiziaria non debba cancellare la dignità, a chi pensa che il carcere sia ormai diventato un deposito per gli ultimi della scala sociale, per chi prova orrore alla parola punizione invece di quella, costituzionale di reinserimento a chi pensa che un’istituzione debba rispettare le scelte di genere di ogni singola persona, a tutti questi chiediamo di fare di tutto per portare Ilaria Cucchi nelle istituzioni”.
“Per la nostra Alleanza Verdi Sinistra, questo è un impegno essenziale e l’iniziativa dell’incontro organizzato a Genova con Ilaria Cucchi e le Associazioni del territorio ha proprio la finalità di accendere un faro su un tema ignorato da tutti”, hanno concluso.
Dal 2008 non si onora l’accordo contrattuale tra 4 firmatari per Museo Storico della Piaggio, Centro per la Ricerca. La favola ‘Collegio di Vigilanza’.
“Piaggio Aerospace”, dal passato finalese che non si deve dimenticare, al futuro con la necessaria produzione di aerei ecosostenibili.
di Gabriello Castellazzi
“Piaggio Aerospace”, oggi operativa nelle sede di Villanova di Albenga, non può dimenticare le solide radici in campo aeronautico, rafforzate nel tempo in Finale Ligure a partire dagli inizi del secolo scorso e universalmente riconosciute . Tra gli aerei più noti e popolari non si può dimenticare il famoso P136, monoplano con ala alta, a gabbiano, che rappresentò la caratteristica dei bimotori “Piaggio” fino all’attuale notissimo P180 Avanti.
Tra i primi progettisti del P136ricordiamo l’ing. Alberto Faraboschi (molto noto a Finale Ligure) che, assunto dalla Società Piaggio nel 1931, svolse attività fino al 1975 collaborando con Corradino D’Ascanio, famoso nel mondo per aver realizzato intorno al 1930 il primo elicottero che gli procurò riconoscimenti internazionali.
Purtroppo di questo passato finalese rimangono solo gli edifici in stato di grave degrado mentre gli accordi contrattuali ( il 5/6/2008) non sono ancora stati onorati a distanza di molti anni dal trasferimento dell’azienda nell’albenganese. Al punto G (pag.21) dell’ “Accordo di programma” stipulato tra Regione Liguria, Comune di Finale Ligure, Presidente della Provincia di Savona e Piaggio Aeroindustries è inserito l’impegno di “ mettere a disposizione i materiali (disegni, modelli, documenti) e collaborare con il Comune di Finale Ligure per la formazione del “Museo Storico della Piaggio” nell’ambito delle aree oggetto di PUO (Piano Urbanistico Operativo) e/o, comunque, nel territorio del Comune di Finale Ligure, in coordinamento con la previsione di spazi espositivi nello stabilimento di Villanova d’Albenga”.
A pag. 22 dell’Accordo si legge ancora “la Regione di impegna a partecipare al cofinanziamento di progetti di innovazione tecnologica attuati nel settore della progettazione e produzione aeronautica”[…] “a tal fine sarà attivato il Centro per la Ricerca e l’Innovazione (con il coinvolgimento dell’Università e degli altri Centri di Ricerca) che avrà sede nel Comune di Finale Ligure”.
Nella conclusione viene infine precisato che al corretto adempimento di questi obblighi provvederà un “Collegio di Vigilanza” composto da rappresentanti di tutti i soggetti firmatari per la tempestiva e corretta attuazione dell’Accordo (pag, 30). La tradizione storica e l’esperienza in campo aereonautico della Piaggio è di valore indiscusso e su queste basi si potranno impostare progetti che guardano al futuro. Per questo prendiamo oggi in seria considerazione i programmi che guardano ad un futuro ecosostenibile:
Antonio Sollo “ Chief Technological Officer” della “Piaggio Aerospace” ha recentemente dichiarato che l’azienda sta progettando un aereo a “zero emissioni inquinanti” (in grado di debuttare entro il 2030 sul mercato internazionale) utilizzando tecnologie che associano “fuel cell” e idrogeno liquido. La notizia riportata anche sulla rivista “Flight Global” precisa che nel nuovo aereo le celle a combustibile e i relativi serbatoi per l’idrogeno, saranno incorporati in modo nuovo ed equilibrato nelle strutture portanti dell’aereo.
La “Piaggio” nella definizione del nuovo piano tecnologico guarda alle opportunità di finanziamento offerte dal programa europeo “Clean Aviation”, oltre che al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), perchè l’ Italia ha previsto investimenti proprio nel settore dell’idrogeno, con finanziamenti per lo sviluppo sostenibile fino a 3,2 miliardi di Euro, finalizzati ad accelerare il processo di transizione dai combustibili fossili alle fonti di energia pulita.
Anche le società “Airbus” e “Boeing” stanno lavorando alla realizzazione di prototipi con “turbine a gas modificati” (idrogeno liquido come combustibile) con l’ intento di mettere in commercio, entro dieci anni, aerei ecologici capaci di trasportare fino a 200 passeggeri (autonomia di 2000 miglia) in grado di operare a livello intercontinentale.
E’ naturale che la “Piaggio Aerospace” si inserisca in queste nuove produzioni dato che l’intera “Unione Europea” sostiene i progetti e considerato che la stessa Presidente Ursula von der Leyen ha recentemente dichiarato: “l’Europa deve guidare il cambiamento, è la nostra ultima occasione per fermare la crisi climatica” e “la lotta ai cambiamenti climatici richiederà un impegno a investire in soluzioni per la decarbonizzazione del trasporto aereo”.
Già negli “Accordi di Parigi” del 2015 per la riduzione dei gas serra era scritto: “Bisogna concordare un approccio efficace di misure globali per l’aviazione internazionale, rendendo sostenibile tutto il settore”. Oggi l’impatto ambientale del trasporto aereo (come emissioni di CO2) è aumentato del 5,2% nel solo anno 2019 ed è necessario trovare un equilibrio tra la crescente domanda di viaggi aerei e la crisi climatica.
Secondo l’ “EEA” (European EnvironmenteAgency) la riduzione dei danni derivanti dal traffico aereo sarà il risultato di “politiche attente all’implementazione tecnologica”, quindi la nuova “Piaggio Aerospace” ha la concreta possibilità di inserirsi in una logica di progresso, facendo affidamento su quelle solide esperienze tecniche che hanno radici nell’indimenticabile passato, e guardando al suo futuro in una prospettiva di produzioni ad alta tecnologia nell’ambito del trasporto aereo civile.
Gabriello Castellazzi – Europa Verde – Verdi del Finalese
Tra gli anni 80 e il 2000 il sociologo Niklas Luhmann elaborò una teoria entrata nella storia della sociologia riguardante il rapporto tra un sistema e l’ambiente con il quale si relaziona. La relazione di un sistema con il suo ambiente implica un continuo scambio e un interminabile adattamento reciproco per rispondere agli inevitabili cambiamenti che entrambi subiscono nel tempo.
Quando un sistema entra in crisi e non riesce a relazionarsi e ad adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente nel quale vive, tende a chiudersi in se stesso ed a diventare autoreferenziale, cioè a interrompere i rapporti con l’ambiente circostante.
Questa condizione blocca i processi di crescita e rigenerazione del sistema e alla lunga può portarlo alla dissoluzione.
Ho trovato questa teoria molto suggestiva se applicata alle nazioni, che essendo composte di molte parti in relazione fra loro sono certamente considerabili dei sistemi costretti a relazionarsi con l’ambiente internazionale. Nel caso degli stati europei, poi, l’ambiente è certamente l’Unione Europea.
Possiamo pensare quindi che quando uno stato, per vari motivi, entra in crisi e non riesce a adattarsi agli ineluttabili cambiamenti dell’ambiente internazionale in cui vive, tenda ad una autoreferenzialità che in questo caso si chiama sovranismo e che provoca l’incapacità del paese di crescere e rigenerarsi portandolo alla dissoluzione.
Il sovranismo, dunque, può essere interpretato come una risposta naturale ma autodistruttiva all’incapacità di un paese di rispondere all’ ineluttabile cambiamento dello scenario internazionale.
“Europa Verde” del Savonese condivide le considerazioni di Ferruccio Sansa e Selena Cambia espresse nei giorni scorsi al termine della riunione della “Terza Commissione – Attività Produttive” convocata in Regione, alla presenza di Sindaci e Associazioni di categoria, sul progetto relativo al completamento del raddopio ferroviario Genova-Ventimiglia.
I due consiglieri della “Lista Sansa” hanno stigmatizzato l’assenza del Commissario di Governo Vincenzo Macello alla discussione su questa importante opera infrastrutturale e chiesto le sue dimissioni in quanto non ha mai ascoltato gli operatori agricoli del territorio, non ha fatto sapere se esista uno studio indipendente sul calcolo dei costi dell’opera, né organizzato alcun “dibattito pubblico” obbligatorio per legge.
Il progetto in esame, di grande impatto ambientale, farebbe sparire circa il 10% della superficie agricola della piana di Albenga e chiudere 50 imprese con perdita di un centinaio di posti di lavoro.
Le Associazioni di categoria (agricoltori e floricoltori), presenti nella riunione, hanno fatto emergere la mancanza di valutazioni circa gli ingenti danni al comparto in un momento storico con scenari di guerra che dovrebbero far invece adottare politiche di incremento della produzione agricola.
Nella tratta Albenga-Loano esiste già un doppio binario (circa il 50% dell’opera totale tra Finale e Andora) e si potrebbe intervenire solo dove manca il secondo binario, risparmiando tempo e soldi. Non si capisce perché non si discuta su un progetto alternativo, considerando che il progetto attuale è di 30 anni fa.
Si dovrebbe prendere in seria considerazione l’esperienza francese: sulla “Costa Azzurra” la ferrovia storica (che da Ventimiglia raggiunge Nizza e prosegue anche oltre facendo transitare pure il TGV) ha visto realizzato da molto tempo il secondo binario, con l’eliminazione dei passaggi a livello (costruendo i necessari sovrappassi e sottopassi) garantendo un servizio ottimale per tutte le attività turistiche delle comunità costiere.
Invece per la “Riviera Ligure” si progetta un disastroso allontanamento delle stazioni dai Comuni affacciati sul mare.
Inoltre l’attraversamento della piana di Albenga (con distruzione di vaste aree agricole) e il traforo delle montagne fino a Finale Ligure, causerebbero danni incalcolabili al territorio, disagi per turisti, lavoratori e studenti e, paradossalmente, fornirebbero un incentivo all’uso dell’auto per raggiungere le stazioni lontane dalla costa, quando si dovrebbe invece ridurre il traffico che attualmente soffoca la Riviera.
Considerando che il Commissario Vincenzo Macello lo scorso anno dichiarò: – “sarà di particolare importanza il dialogo con i territori grazie a tavoli di confronto e condivisione attivati sulle scelte progettuali, prestando attenzione alla sostenibilità ambientale, all’adeguamento della viabilità esistente con tracciati alternativi e modifiche di alcune viabilità nei comuni di Albenga, Pietra Ligure, Borghetto S. S. e Andora” – ci si chiede quando verranno effettivamente coinvolti, a norma di legge, tutti i soggetti sociali interessati all’importante opera pubblica.
Secondo le attuali disposizioni legislative relative al “Pubblico dibattito”, ci deve essere una reale condivisione democratica per evitare “contenziosi futuri”.
Ripetiamo che i regolamenti indicano le modalità di svolgimento del “dibattito” su grandi opere infrastrutturali con forte impatto sull’ambiente e sull’assetto del territorio.
Enrico Giovannini, attuale “Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile”, ha dichiarato che “il confronto pubblico riveste un ruolo cruciale nel promuovere il coinvolgimento dei territori, rendendo operativo un indispensabile strumento di partecipazione democratica e che l’utilizzo del “Dibattito pubblico” agevolerà l’attuazione del PNRR, facendo in modo che le opere sulle quali siamo chiamati a costruire lo sviluppo futuro del Paese siano anche il frutto di una più ampia condivisione con cittadini e imprese”. Parole corrette, conseguenti ai Decreti 30/12/2020 e 7/5/2021 n° 204 per la “Mobilità sostenibile” dove sono precisate le linee guida sui procedimenti abbreviati e dove è obbligatorio il “Dibattito pubblico”. Provvedimenti perfezionati nella Legge 29/7/2021 n° 108 che ha indicato “la governance del PNRR con le misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione-snellimento delle procedure”, con un percorso di “Dibattito pubblico” (durata massima di 45 giorni).
Su quanto sta accadendo, quale è la reale opinione dei cittadini? Sono stati presi in considerazione tutti i pareri tecnici che stanno emergendo in questi giorni da più parti? Si spera forse di poter bypassare le regole costituzionali (art.9) di tutela dell’ambiente e del paesaggio?
Precisiamo ancora come il “Dibattito pubblico” segua procedure che coinvolgono i soggetti detentori di interessi inerenti l’opera da realizzarsi, introdotte in conformità alla normativa europea sulla trasparenza degli atti amministrativi : “per migliorare la qualità e l’efficacia delle decisioni pubbliche mediante la più ampia partecipazione dei cittadini e delle Amministrazioni locali interessate alla realizzazione di opere con un significativo impatto ambientale”. Il suo iter viene “attivato nella fase iniziale della progettazione in relazione alla fattibilità, quando il proponente è ancora nelle condizioni di poter scegliere se realizzare l’opera e, eventualmente, quali modifiche chiedere di apportare al progetto originale” e non nella fase finale come si prospetta per il raddoppio del tratto Andora-Finale L.
La stessa Regione Liguria con la propria legge ( 16 febbraio 2016 ) indica le “Misure per il
rafforzamento delle fasi di progettazione e finanziamento di opere pubbliche di particolare rilievo” e all’ art. 18 precisa che “al fine di individuare le soluzioni ottimali, di assicurare maggior certezza dei tempi di realizzazione nonché di promuovere l’accettazione sociale da parte delle collettività locali interessate, la Regione definisce le procedure per una esaustiva forma di “dibattito pubblico” sulla base di un adeguato livello di progettazione”.
Questa procedura obbligatoria, vincolante per la stessa Regione, non è stata attivata nel savonese, pur essendo ben note le problematiche relative all’opera e per queste ragioni “Europa Verde” condivide la presa di posizione della “Lista Sansa”.
In Liguria si può completare il raddoppio della ferrovia senza danneggiare il delicato equilibrio costiero ed è compito dei tecnici, ascoltati tutti i soggetti interessati alla grande opera, trovare soluzioni compatibili con la “transizione ecologica”, base di un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile.
“Nei giorni scorsi, in una dichiarazione di ‘Confitarma’ (Confederazione Italiana Armatori), si legge come l’organizzazione stia predisponendo un documento con proposte per uno sviluppo del ‘cold ironing’ (alimentazione con corrente elettrica da terra delle navi ormeggiate) il più possibile aderente alle esigenze dell’armamento, ma elencando contemporaneamente una serie di gravi criticità. Ricapitolando i termini del problema:. Il PNRR avrebbe già stanziato 700 milioni di euro per l’elettrificazione dei più importanti porti taliani, ma Genova e Savona sarebbero escluse perchè 20 milioni finalizzati a questo scopo (banchine, terminal traghetti e terminal crocere) con 7 accosti per Genova e 10 milioni per Savona con 2 accosti crocere, erano già stati autorizzati dalla Conferenza dei Servizi nel 2020. ‘Confitarma’ sostiene comunque che se le somme vienissero divise per tutti gli scali portuali, la cifra a disposizione delle singole città non sarebbe sufficiente e ritiene doveroso un coinvolgimento a livello centrale di tutti gli “stakeholders” (portatori di interesse) per decidere dove e quanto investire, denunciando inoltre ‘confusioni operative’”. Lo scrivono, in una nota, Loredana Gallo e Roberto Delfino di Europa Verde – Verdi della provincia di Savona.
“Dopo questa presa di posizione – spiegano – non si sa quali potranno essere gli sviluppi futuri, ma un dato è certo: non sono ammissibili ulteriori ritardi. Per una politica di de-carbonizzazione dei sistemi infrastrutturali, nel rispetto degli ‘Accordi di Parigi’, è necessaria e urgente l’elettrificazione dei porti liguri. Gli studi effettuati fino ad ora hanno fornito risultati drammatici: le navi ormeggiate emettono ogni giorno inquinanti dieci volte superiori a quelli dei veicoli circolanti in città. La situazione grave riscontrata in Genova è stata evidenziata anche a Savona con lo studio pubblicato da ‘Italia Nostra’, nel quale sono dimostrati i danni per la salute dei cittadini che risiedono in area portuale”.
“L’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale – proseguono i Verdi savonesi – in passato aveva già chiesto 35 milioni di Euro per l’elettrificazione del porto di Genova con la realizzazione di un grande sistema fotovoltaico. La somma rientrava nella dotazione complessiva dei finanziamenti denominati “Green Ports” che il ‘Ministero per la Transizione Ecologica’ aveva messo in campo con l’obiettivo di incentivare l’uso delle energie rinnovabili negli ‘hub portuali’. L’elettrificazione delle banchine commerciali (passeggeri e merci), nei bacini di Genova e Savona- Vado, dovrebbe in futuro migliorare la qualità dell’aria e ridurre l’inquinamento acustico, mentre vasti impianti fotovoltaici sulle strutture portuali (magazzini e hangar) potrebbero far raggiungere l’autosufficienza energetica”.
“Ulteriori ritardi non si possono imputare a difficoltà di progettazione in quanto aziende internazionali già da tempo propongono sistemi di elettrificazione collaudati nei porti del Nord- Europa e degli Stati Uniti. Nello scalo di Rotterdam, oltre ai sistemi citati per le banchine di attracco, lo spostamento dei carichi pesanti sui moli viene addirittura effettuato da nuovi trattori a “impatto zero” con motori a idrogeno. L’uso dell’ “idrogeno verde” come combustibile diventa ormai necessario in quanto, secondo l’ “Organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite”, le navi sono responsabili del 3% delle emissioni globali di CO2”, aggiungono Gallo e Delfino.
“Il Giappone ha già varato la ‘Suiso Frontier’ (attualmente in viaggio verso l’Australia), una nave capace di trasportare 1250 mc. di idrogeno liquido (un carburante ecologico perfetto perchè produce solo vapore d’acqua). In Norvegia nel 2023 entrerà in navigazione la prima nave passeggeri completamente alimentata con lo stesso combustibile (l’energia di prossima generazione che diventerà di uso comune quanto oggi il petrolio). In definitiva è realistico puntare su nuovi investimenti in una industria eco-sostenibile che guardi seriamente al futuro. La ‘transizione ecologica’ richiede scelte coraggiose e se gli investimenti nei porti del nord Europa non hanno trovato ostacoli insuperabili, anche l’Italia e ‘Confitarma’ possono e devono ottenere gli stessi risultati”, conclu
Se hai un’età compresa tra i 18 ed i 25 anni sappi che, per la politica, non conti un cazzo.
Di te, delle tue necessità, del tuo futuro non importa un accidente a nessuno. Se c’è da fregare qualcuno tu sei la prima scelta.
Di chi è la colpa? Tua!
Hai la cultura, hai competenze, hai informazioni, sei social, sei cool, ma ti comporti come un fesso.
Non hai capito una cosa molto semplice: nessuno farà i tuoi interessi nelle scelte elettorali, probabilmente nemmeno i tuoi genitori.
Solo tu puoi cercare di garantirti un domani sereno perché, quando vivrai il tuo attuale futuro, quasi tutti coloro che adesso comandano saranno morti o quasi.
Ti immagini quanto gliene può importare?
L’importante, per loro, è star bene adesso, “dare un calcio alla lattina” e lasciarti i problemi da risolvere.
Chi ha più esperienza di te ha capito una cosa molto semplice che però a te non è ancora entrata in testa: se non ti occupi anche tu delle cose, se ne occuperà qualcun altro per te e puoi star sicuro che non lo farà nei tuoi interessi.
Tu dici – la politica è una schifezza, sono tutti uguali, intanto non cambia niente -.
Questo è il pensiero che ti frega.
Ricorda una cosa: anche se tu non ti occupi della politica la politica si occupa di te, ogni giorno.
Tu dici: -Io non vado a votare non mi interessa.-
Bravo, bel ragionamento !
Secondo te le cose fino ad ora sono andate bene? Sei contento di come siamo messi?
Sai che l’ultimo governo eletto governava con 12 milioni di voti su 46 di potenziali elettori?
Sai che se consideriamo la totalità degli abitanti, il governo è stato legittimato con il voto di un italiano su cinque?
Per chi votare decidi tu. Ma non farti convincere da chi dice che intanto le cose non possono cambiare perché a volte è in malafede ma più spesso non capisce che così quello fregato è lui
Prova ad informarti e vedrai che i partiti non sono tutti uguali, ci sono differenze enormi sull’idea di futuro e di società, e conta molto chi vince.
Conta per tutti e soprattutto per te, stai sicuro!
In occasione del cinquantatreesimo suicidio avvenuto, da gennaio, tra le mura delle carceri italiane Il Riformista pubblica un articolo di Tiziana Maiolo che ricorda una frase che, Gabriele Cagliari, presidente dell’ENI, pronunciò prima di suicidarsi in carcere. Questa frase voleva rappresentare la inumana situazione carceraria italiana e soprattutto il totale disinteresse di tutto il circo mediatico e della politica nei confronti di questo abominevole crimine perpetrato da decenni dallo Stato italiano in violazione a tutti i trattati internazionali e per la quale è stato più volte sanzionato. Cagliari descrisse la condizione dei detenuti in questo modo: “Siamo cani nel canile”. Ebbene io credo che questa frase fosse sbagliata. I detenuti italiani sono in una condizione peggiore dei cani nel canile perché, mentre giustamente il sentimento comune nei confronti degli animali abbandonati é di piena solidarietà essendo visti come creature innocenti ingiustamente rinchiuse, gli esseri umani, che marciscono nelle patrie galere in condizioni praticamente medievali, non sono oggetto di nessun sentimento di empatia da parte della maggior parte delle persone. Continua infatti a prevalere nella stragrande maggioranza degli italiani l’idea che il carcere abbia un prevalente scopo afflittivo, cioè debba far soffrire il reo alfine di vendicare la società dal crimine subito e indurre un effetto deterrente sui malintenzionati. Solo una minoranza è convinta di quanto dice la nostra costituzione che, figlia di una straordinaria corrente di pensiero della quale il nostro paese può menare vanto al confronto anche di civiltà molto avanzate e che inizia nel 700 con Cesare Beccaria, afferma che lo scopo della pena è quello di riabilitare il detenuto perché possa essere reinserito nella società. I vantaggi di questa visione sono molteplici e ampiamente dimostrati da molti decenni attraverso esperienze comuni a tutto il mondo più avanzato dove un carcere improntato ad uno scopo rieducativo riduce molto di più le recidive e permette di reinserire il cittadino nel tessuto sociale dove può vivere, lavorare e produrre una ricchezza per la società in grado di ripagare la parte materiale del danno causato dal suo reato. Ciononostante a causa del prevalere del desiderio vendicativo su quello riabilitativo nell’elettorato italiano, una parte dei partiti si astiene in modo assoluto dal pronunciarsi su una riforma penitenziaria assolutamente indispensabile per riportare il nostro paese nel novero di quelli civili ma che non incontra minimamente il sentire comune. Alcuni partiti addirittura cavalcano biecamente e cinicamente questa arretratezza degli Italiani facendone un triste e squallido cavallo di battaglia. La Lega in primis, e poi Fratelli d’Italia e i Cinque stelle sempre dalla parte della vendetta e di una visione delle carceri degna dell’antichità. La responsabilità del deficit culturale degli Italiani é equamente condivisa da una scuola ancora profondamente improntata dalla riforma Gentile del periodo fascista, dai mezzi di comunicazione che, sempre all’inseguimento della odience evitano come la peste di affrontare argomenti controversi ma anche e soprattutto da gran parte della politica italiana che ancora una volta dimostra il suo cinismo e il suo squallore primariamente umano prima che politico. Al momento oltre ai Verdi – Sinistra italiana e naturalmente +Europa che ne fa un argomento fondante, i partiti dello schieramento di centro sinistra hanno in vario modo affrontato l’argomento nei loro programmi elettorali. La destra invece continua a pensare di risolvere il problema semplicemente mediante una nuova edilizia carceraria che non è stata fatta negli ultimi 40 anni e non lo sarà nemmeno nei prossimi. Tra le mille arretratezze culturali che caratterizzano la destra italiana questa è una delle più evidenti, anche perché sopravvive indenne ad oltre un secolo di progresso culturale ed a una innumerevole serie di evidenze talmente inoppugnabili da non meritare neanche un minuto di discussione. Basta infatti osservare com’è l’incidenza della criminalità e soprattutto delle recidive nei paesi più avanzati in questo campo e compararlo con la loro gestione del regime carcerario per fugare qualsiasi dubbio sull’ efficacia di una visione più moderna, più civile e soprattutto più umana di gestire le carceri che prevede la carcerazione come extrema ratio a fronte di un ampio ricorso a pene alternative al carcere ed a percorsi di rieducazione, riabilitazione e reinserimento nella società praticamente assenti in Italia.
Edoardo Rixi, deputato della Lega genovese, componente commissione Trasporti, responsabile dipartimento Infrastrutture, ha attaccato i “Verdi” sul “nucleare” dichiarando che “Calenda spinge per il ritorno all’energia nucleare, Bonelli e Fratoianni sono i primi oppositori”.
Per dovere di informazione è bene essere chiari: tutte le “centrali nucleari a fissione”, grandi o piccole, producono scorie radioattive, mentre le “centrali nucleari a fusione”, che sono ancora in fase di sperimentazione e non generano scorie radioattive sono auspicate dagli ambientalisti.
Con il referendum del 1987 l’Italia era stata tra i primi Paesi industriali avanzati ad uscire dal “nucleare a fissione” e la decisione degli Italiani, poi ribadita con un secondo referendum nel 2011, ha evitato gli enormi costi legati al contenimento-smaltimento di tutte le scorie radioattive. Sappiamo che le fonti energetiche dipendenti da questa tecnologia sono ormai in declino nello scenario mondiale. Dal 2000 nessun nuovo reattore è più entrato in funzione, mentre due sono ancora in costruzione a costi esorbitanti.
Irriducibile sostenitore di questa industria, obsoleta e pericolosa, è l’attuale Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che promuove gli Small Modular Reactors, cioè gli SMR. Trattasi di Impianti ancora sperimentali, costosissimi e da costruire in numero ingente, che generano comunque scorie radioattive da smaltire, senza avere chiari i tempi e i luoghi.
Ci sono invece iniziative innovative in materia di produzione energetica in California: aziende private (tra cui una italiana) investono già in impianti solari fotovoltaici con megabatterie capaci di rilasciare, nelle ore serali e notturne, parte della sovrapproduzione di energia rinnovabile.
Oggi, a 35 anni dal terribile incidente di Chernobyl, a 10 anni dall’incidente di Fukushima, considerando i continui incidenti bellici che avvengono ora nelle vicinanze delle centrali nucleari dell’ Ucraina, dev’essere ben chiaro a tutti come non esistano le garanzie necessarie per l’eliminazione del rischio di incidenti che porterebbero inevitabili vaste contaminazioni radioattive. Sono anche ben noti i problemi legati alla contaminazione “ordinaria” in
seguito al rilascio di piccole dosi di radioattività da parte delle centrali nucleari durante il loro normale funzionamento, cui sono esposti primariamente i lavoratori e le popolazioni residenti.
Lo smaltimento dei rifiuti radioattivi
derivanti dall’attività delle centrali e dal loro finale, obbligatorio smantellamento, è un problema dai costi insostenibili, come ci insegna la vicina Francia, oggi in crisi per le centrali ormai vecchie e pericolose da demolire, con 1,54 milioni di metri cubi di
materiali radioattivi accumulati nel tempo.
Le circa 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotti fino ad oggi nel mondo sono in attesa di essere conferiti in siti di smaltimento definitivo, mentre allo stato attuale sono ancora stoccati in depositi “temporanei” o lasciati negli stessi impianti dove sono stati generati. L’Italia conta, secondo l’inventario curato dall’ Agenzia per la protezione dell’ambiente e dei servizi tecnici, circa 25mila m³ di rifiuti radioattivi e
250 tonnellate di combustibile irraggiato, pari al 99% della radioattività presente nel nostro Paese, a cui vanno sommati circa 1.500 m³ di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria: materiale attualmente stoccato in 90 capannoni o bunker distribuiti in varie Regioni (20 nel Lazio, 16 in Piemonte, 10 in Lombardia, ecc.).
Per il futuro bisognerà poi pensare ai circa 80-90mila m³ di scorie che deriveranno dallo
smantellamento obbligatorio di quello che resta delle 4 nostre ex-centrali e degli impianti utilizzati nel ciclo di produzione del combustibile nucleare. Esiste poi la necessità di rendere inutilizzabile il materiale fissile di scarto, per evitarne il possibile uso a scopo militare: in uno scenario mondiale, dove il terrorismo globale è una minaccia concreta, bisogna infatti considerare che dal trattamento di questo materiale si può estrarre plutonio, materia prima per la
costruzione di armi nucleari.
Gli impianti nucleari attivi possono diventare obiettivi sensibili poiché nell’attuale scenario mondiale non è da escludere che, sfuggendo al controllo della comunità internazionale, possano esserci Paesi che, per dotarsi di armamenti nucleari, arrivino ad utilizzare il nucleare destinato ad uso civile.
Questa è la realtà: il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani è chiamato ad attuare provvedimenti urgenti per la riduzione dei combustibili fossili, potenziando le fonti di energia alternativa, invece di sviare i problemi e ipotizzare future tecnologie nucleari di quarta generazione.
Anche Letta, segretario PD, si è così espresso: “Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione Ue sta facendo circolare. L’inclusione del nucleare è per noi radicalmente sbagliata. Il gas non è il futuro, è solo da considerare in logica di pura transizione verso le vere energie rinnovabili“. Su Twitter ha preso posizione anche contro l’energia atomica, dopo le proteste di Europa Verde. Si è schierato contro la proposta avanzata da Bruxelles di inserire il nucleare e il gas naturale in una lista di attività economiche considerate sostenibili dal punto di vista ambientale. Infine, ecco le parole di Bonelli:
“Accogliamo con grande favore la posizione assunta dal segretario del Pd. E’ una scelta politica importante. L’inserimento del nucleare e del gas nella tassonomia Verde Ue non tutela il pianeta e nemmeno gli interessi economici dell’Italia, ma solo quelli dell’industria nuclearista francese, fortemente indebitata, che vuole mettere le mani sui fondi pubblici europei. Ora ci sono le condizioni per costruire nel Parlamento europeo una maggioranza che possa bocciare la proposta di tassonomia della Ue per puntare sulle rinnovabili, sull’ efficienza e la riduzione dei consumi energetici”.
Ciascuno di noi sta affrontando questo tremendo momento storico nel quale l’insicurezza e la preoccupazione regnano sovrane: la pandemia prima, il conflitto in Europa ora, le sue conseguenze quali la crisi energetica ed alimentare, i cambiamenti climatici e la siccità,…. Noi Verdi Europei riteniamo che, mai come in questo momento, sia fondamentale far sentire la nostra voce e contribuire ad orientare le scelte politiche italiane ed europee sul clima, sulla scelta in merito alle politiche energetiche, sul sostegno a tutti coloro che vivono situazioni di estrema difficoltà per i motivi più svariati, sul sostegno alle libertà individuali per la creazione di una società più giusta…ma…aiutooo! Siamo in pochi! Tutti noi siamo completamente assorbiti dalle nostra vita e da quelle dei nostri cari e così, inconsapevolmente, lasciamo che altri scelgano per noi fino a determinare il nostro futuro anche contro la nostra volontà, contro i nostri principi basilari! Sappiamo tutti che la politica dovrebbe essere partecipazione! Noi continuiamo a provarci e vorremmo farlo insieme a te, il tuo contributo può fare la differenza. Ci incontreremo quindi, per il nostro primo appuntamento in presenza, cui potranno seguirne altri online, martedì 5 luglio 2022 a Savona, in Via Untoria, nella sala riunioni adiacente la Chiesa di San Pietro, alle ore 18.00. La riunione durerà all’incirca un’ora e mezza. Per motivi organizzativi si chiede una conferma in merito alla partecipazione, confidando nell’accoglienza del presente invito, per l’importanza che riveste questo primo confronto comunicativo.
La “Giornata Mondiale delle Api” è stata istituita nel 2017 dal’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e si celebra ogni 20 maggio con lo scopo di tutelare gli insetti impollinatori, fondamentali per la biodiversità. Tra le tante iniziative degne di nota, ad Airole in Liguria, in provincia di Imperia, c’è stata la presentazione del nuovo presidio Slow Food dell’ “Ape nera del Ponente Ligure”, in collaborazione con “Apiliguria”. A Pantelleria si è svolto il “Convegno internazionale- Apis selvatica” sul tema dell’interazione tra le api allevate e le api ferali, con misure concrete per la protezione delle colonie selvatiche di “Apis mellifera”.
E’ utile ricordare come il 70% delle 115 principali colture agrarie mondiali tragga beneficio dall’impollinazione, ma l’inquinameto ambientale, i cambiamenti climatici, la distruzione degli habitat, i parassiti, le specie, aliene mettono a rischio la sopravvivenza delle api e l’esistenza di molte colture, quindi la sicurezza alimentare di milioni di persone.
A conclusione dell’ importante giornata, si possono rilanciare alcune interessanti iniziative che si spera possano entrare nelle abitudini di chi vuole agire concretamente. Ad esempio, chi ha la fortuna di poter gestire spazi di terra fertile all’aria aperta può mettere a dimora essenze capaci di aiutare le api a vivere (rosmarino, lavanda, basilico, salvia, borragine, erba cipollina, ecc.), E’ utile, inoltre, impegnarsi con continuità a scegliere prodotti biologici (come è noto i pesticidi sono tra i principali nemici degli insetti impollinatori, oltre che un pericolo per la specie umana). Bisogna sostenere chi lavora con impegno nell’economia delle api ( bee-economy). In Italia nel 2021 sono stati censiti in 70.000 apicoltori, che allevano quasi 2 milioni di famiglie di api, con una valutazione economica annuale di circa 3 miliardi di Euro. Tutto questo è a rischio sopravvivenza.
Ricordiamo che in provincia di Savona, a Vezzi Portio ( frazione S.Giorgio), è presente e attivo il “Museo delle Api e del Miele”, unico in Italia, che dal 2009 custodisce (grazie alla Badia Benedettina di Finalpia) circa 2000 reperti di grande interesse, provenienti da ogni parte del mondo, collezionati da Angelo Cappelletti nel corso di una vita. Alcuni pezzi sono rarissimi: un blocco di propoli trovato in una millenaria tomba peruviana, alcuni attrezzi del 1600, poi arnie, smielatori, ecc. Un vero tesoro che merita di esser visitato. Visite guidate, programmate, sono organizzate dall’ azienda locale “Ca du Megu” di Federica Delfino e Mirko Bulgarelli che ne curano l’organizzazione e il significato storico-culturale.
Gli scienziati hanno dimostrato da molto tempo il rapporto preciso tra l’aumento di pesticidi in agricoltura e la crescente moria delle api. Dal “National Geographic” e dall’Associazione degli Apicoltori Italiani “UNAAPI” apprendiamo che dal 2017 la nostra produzione di miele è diminuita dell’80% e, problema ancora più grande, diminuisce il lavoro di impollinazione che avviene grazie alla api, senza le quali le nostre piante da frutto non potrebbero sopravvivere. E’ arcinota la frase di Einstein: “Se l’ ape scomparisse dalla faccia della terra all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”. In Italia, secondo i dati della Coldiretti, due barattoli di miele su tre, in vendita, sono di importazione (dall’ Ungheria 7,6 milioni di Kg.e dalla Cina 2,6 milioni di Kg). Gli apicoltori liguri sono1400, con una dotazione di 25.000 alveari, ognuno può produrre circa 15 Kg. di miele ogni anno. Si parla poco di questo problema vitale che interessa non solo la produzione e il commercio del miele, ma tutto il ciclo della vita delle piante ( alcuni coltivatori per avere una buona impollinazione noleggiano gli alveari degli apicoltori). Grande merito va a quei coltivatori liguri e savonesi che grazie all’ “agricoltura biologica” non solo aiutano la vita delle api, ma portano ai consumatori frutta e ortaggi di qualità senza quei veleni che sono purtroppo responsabili di gravi malattie.
Loredana Gallo e Roberto Delfino – coportavoci federazione provinciale di Savona
Sì, lo sappiamo, non è elegante e neanche simpatico, ma questa volta lasciatecelo fare . Lasciateci pronunciare la classica frase dei saccenti: Ve lo avevamo detto!
Di fronte al terribile pasticcio che la direttiva Bolkenstein ( QUI la migliore spiegazione di sempre) ha prodotto in questi anni non possiamo che tornare col ricordo a moltissimo tempo fa, quando questa normativa fu varata dalla Unione europea . Noi Verdi della Liguria eravamo, e siamo tuttora, particolarmente sensibili alla questione dei litorali perché i Liguri hanno acqua di mare nel sangue e in qualsiasi luogo si trovino cercano di capire da che parte sia il mare perché, per stare bene, devono vederne almeno uno scorcio. Eppure hanno difficoltà a raggiungerlo fisicamente perché una barriera invalicabile di stabilimenti balneari li separa ogni estate dal loro mare. Gli accessi liberi al mare si sono diradati fino a diventare praticamente inesistenti, il litorale è diventato così virtualmente privato ed i suoi gestori, a fronte del pagamento di canoni ridicolmente bassi, dispongono di un bene pubblico in modo esclusivo, per moltissimi anni, tramandandoselo per generazioni. Nel frattempo, molti anni fa, l’Unione Europea ha imposto che sui litorali sia concesso l’accesso al mare e che le concessioni sull’uso dell’arenile demaniale siano assegnate periodicamente con gare pubbliche ottenendo, per lo Stato, il pagamento di canoni appropriati alla redditività degli arenili come bene pubblico. Noi abbiamo accolto con favore queste indicazioni anche perché il sottoporre le concessioni demaniali ad una periodica riassegnazione aiuta il rispetto dei vincoli ambientali troppo spesso violati con un uso intensivo del cemento che, ricordiamolo, è vietato sugli arenili che non possono essere modificati in modo permanente.
Nessuno infatti contesta la liceità ed il ruolo economico dell’attività balneare, ma questa deve essere regolamentata secondo criteri democratici perché le coste sono di tutti i cittadini e non possono diventare il feudo di pochi. Del resto va anche tutelato chi ha investito nelle strutture (ma non cementificato!), anche se, negli ultimi anni, consci del rischio reale della scadenza della concessione, molti lo hanno fatto scommettendo consapevolmente sull’appoggio politico di quelle forze che sono sempre disposte a sacrificare i criteri di giustizia e democrazia per ottenere il consenso e tutelano i miopi interessi di gruppi sociali che, per evitare la fatica del cambiamento, si votano alla rovina. La Lega in primo luogo, ma anche molti altri, si sono comportati come quei genitori che, non volendo mai dire di no ai figli temendo di perderne l’affetto, li condannano . Ma ora è il diluvio. La direttiva va in vigore e ci rimettono tutti drammaticamente.
E allora mi ricordo di quando, in una estate di molti anni fa, con un paio di compagni di sventura ci aggiravamo in agosto sulla passeggiata di Albissola Marina, distribuendo volantini che spiegavano perché si sarebbe dovuto incominciare ad modificare il modo di gestire le spiagge, senza neppure immaginare il disastro a cui saremmo arrivati, e molti ci guardavano come folli chiedendo: “Cos’è, sta direttiva Frankenstein??”